giovedì 10 luglio 2014

Play off di serie B e retrocessioni di serie A. La fabbrica dei fallimenti - #serie B

Cosa è successo negli ultimi 9 anni alle squadre che hanno giocato i play off di serie B senza vincerli? E cosa è successo a quelle che sono retrocesse dalla serie A?

In 13 casi su 21 le squadre che giocano i play off di serie B e non riescono a fare il salto di categoria retrocedono o falliscono (spesso entrambe le cose) entro i 3 anni successivi. Solo in 5 casi su 21 riescono a rilanciarsi e salire (Brescia, Sassuolo, Torino, Verona, Empoli).

Delle tre che retrocedono, invece, una torna subito in A, una si arrabatta e prova a sopravvivere in B, una fallisce o retrocede entro i due anni successivi.

E poi vi chiedete perché gli imprenditori bresciani non vogliono mettere i soldi nel calcio?

Sarebbe sbagliato dire che la serie B è un campionato non sostenibile. In realtà è la gestione delle società ad esserlo, perché ancora completamente assoggettata a programmazioni estemporanee (legate solo ai risultati) e ad un equilibrio finanziario puramente teorico, oltre al fatto che nessuno ha mai realmente provato ad applicare un modello di gestione che prescindesse dai risultati sportivi.

lunedì 7 luglio 2014

Tutta la verità sul Brescia calcio - #serieb #brescia #calcio

Mio pezzo su Bresciaoggi del 7 luglio 2014

Un'enorme roulette, dove si può solo scommettere: sul futuro del Brescia Calcio, sulle probabilità di riuscita dei piani di salvataggio, sul futuro della governance societaria e sulla promozione del Brescia in serie A nella prossima stagione. Magari anche sull'approdo in Champions e sulla vittoria dello Scudetto in due anni, come faceva Oronzo Canà presentando la Longobarda. Ma per scommettere bisogna avere un vocabolario per capire su cosa si sta puntando.


ISCRIZIONE. Servono 4 milioni di euro entro il 15 luglio. Arriveranno? Probabilmente sì. Nessuno degli imprenditori chiamati in causa (Camozzi, Lonati, Scuola, Gnutti, il presidente Aib Bonometti) ha risposto «lascia», mentre da chi è già creditore del Brescia (come Saleri) è arrivato l'inevitabile «raddoppia». Fare colletta non sarà difficile. Ma quali responsabilità comporterà il salvataggio?


GOVERNANCE. Si parla di «newco», ovvero una nuova azienda, ma alla newco bisogna dare un nome e un cognome, ovvero un presidente. Altrimenti ci si è solo cimentati con l'inglese da bar. In Italia non è possibile salvare il titolo sportivo scorporandolo da una società. Per dire: non è che a Bari sono ignoranti, falliscono e poi arriva Paparesta, e noi siamo più furbi e arriva Paperone prima di fallire, non paga i debiti, va avanti, ci porta in A e siamo tutti felici. Di chi è la newco? Il giro delle parrocchie «industriali» ha detto che nessuno vuole mettere il proprio nome in cima al progetto. Chi ha risposto lo ha fatto per cortesia o dovere istituzionale. Due i motivi: il primo sono i debiti, il secondo è che nessuno è interessato a fare l'imprenditore nel mondo del calcio. Insomma, la mitica «cordata» - che richiede un progetto di governance e di prospettiva societaria - ora come ora non esiste. C'è solo una generica disponibilità a pagare l'iscrizione, purché sia finita lì. Piccolo quesito aggiuntivo: qualcuno ricorda una «cordata» di successo nel calcio?

FALLIMENTO. Per uno sportivo fallimento significa non iscrivere la squadra al campionato. In economia fallimento è quando una società arriva al capolinea. Chiarezza per chiarezza: se non falliscono le società che controllano il Brescia la squadra non si salva. Non ci si scappa. O arriva Paperone a ripianare i debiti o si fallisce: così facendo si può salvare il titolo sportivo (vedi Bari).
Un fallimento - che azzera i debiti e salva la categoria - può rendere appetibile la società. Magari un fallimento di quelli definiti «in bianco» o «di continuità», secondo le nuove norme della legge fallimentare: a tutela della continuità aziendale in presenza di un nuovo progetto gestionale (simile al Parma dopo-Parmalat e pre-Ghirardi). Ma pur sempre un fallimento, che - ovvio - non piace ai creditori, banche in primis, nonostante le promesse di moratoria: che vuol dire «mi paghi il debito che ha fatto un altro, ma tra qualche anno». Tanto alla fine paghi (sottinteso).


VINCERE. L'ultimo interrogativo riguarda il modello di business. Come si fanno i soldi nel calcio? Non lo sa nessuno, e chi più vince (tipo il Real Madrid) è più indebitato. Qualcuno ha dubbi? Qualche soldo lo si vede andando in A (grazie alle tv). Ma nel lungo periodo se non vai in Europa arranchi. Chi entra nel Brescia - stante la situazione debitoria - deve scommettere sulla promozione immediata: vincere, pagare i debiti, rivincere, sperare. Un circolo vizioso. Quindi perché rischiare? Tornano alla mente le parole di Corioni pronunciate nell'estate precedente all'ultima stagione giocata in serie A: «Retrocedere sarebbe peggio che non essere mai saliti». Ipse dixit.

giovedì 26 giugno 2014

Brasile 2014. Italia subito fuori. Io la vedo così

Premessa: la "vergogna" secondo me non fa parte dello sport se non è legata a qualcosa di scorretto o illegale. In altre parole: il doping è vergognoso, il morso di Suarez è vergognoso, gli sputi agli avversari sono vergognosi. La sconfitta invece è solo l'altro lato della medaglia della vittoria.

Parto sempre dal presupposto che un calciatore (fino a che non vi è una dimostrata prova contraria) vada in campo per vincere e dare tutto. Purtroppo alcuni calciatori come alcuni uomini sono caratterialmente deboli, ma non penso che in cuor loro vogliano perdere la partita o dare preventivamente meno di quel che hanno da spendere (se non in casi eccezionali in cui il risultato è formalmente ininfluente, tipo nelle amichevoli).

Allo stesso modo non penso che uno sportivo debba scusarsi se perde. Fa parte della sua attività, che ha solo una certezza: il risultato finale e la sua incontestabilità sostanziale. Penso invece che sia giusto fornire spiegazioni, letture chiare e trasparenti, proprio per aiutare il pubblico a capire meglio.

Trovo più vergognoso un giornalista che vuole spiegare la sconfitta con la Costarica senza capire ed ammettere i meriti tecnico tattici dell'avversario, di un giocatore che perde con la Costarica.

Detto questo l'Italia per la seconda volta consecutiva ai Mondiali è uscita al primo turno. Chi ha sbagliato, e perché?

Non credo che Prandelli fosse infallibile quando arrivò alla finale di Euro 2012. Non credo sia un incompetente ora. In generale, oltretutto, le nazionali giocano competizioni (gli Europei come i Mondiali) che sono molto legate all'estemporaneità di una partita. In altre parole, se casuale fu il nostro approdo in finale agli Europei casuale va considerata - in parallelo - anche l'eliminazione dai Mondiali. Su certi giudizi bisogna avere equilibrio e coerenza.

Nel corso dei 4 anni alla guida della nazionale l'Italia ha perso 2 partite il primo anno, 4 il secondo, 3 il terzo, 4 quest'anno. Quando si dice che siamo usciti perchè in fondo "questi siamo" ci si riferisce anche a questo. Ne ha pareggiate 3, 4, 7 e 6. Insomma, valutare la forza di questa squadra nell'arco più ampio delle partite disputate e dire se nel 2012 eravamo più forti di adesso è questione di opinioni e sfumature. Di partite andate bene (stavolta abbiamo battuto l'Inghilterra, due anni fa solo ai rigori) e partite andate male. Come quella di ieri.

A Prandelli imputo in generale (non da oggi) una scarsa capacità di lettura della partita: ha subito una sconfitta sul piano tattico dalla Costarica e questo gli è costato il mondiale. Ha battuto l'Inghilterra e perso con l'Uruguay, risultati che ci stanno, ma è fuori per quella sconfitta coi centroamericani.

Sul piano del gioco espresso l'Italia ha tirato in porta 4 volte con l'Inghilterra, 4 con il Costarica, 1 con l'Uruguay. La squadra che nell'ultimo anno in serie A ha concluso meno è stata il Cagliari con 3,4 preceduta da Chievo e Genoa con 3,5 tiri a partita. Questi sono i termini di paragone. Ai mondiali hanno fatto peggio di noi soltanto Australia (2,7) Iran (2) e Camerun (1,3).

Di contro abbiamo fatto il 57,6% di possesso palla (settimi) e l'89,2% di passaggi riusciti (secondi dietro l'Argentina). L'equivoco tecnico-tattico nel quale ci siamo cacciati, facendo un calcio non nostro al quale non siamo adeguati, è abbastanza palese.

Quando succede questo i problemi sono profondi.

La tattica. Purtroppo Prandelli si è incartato. Non è questione di moduli ma di interpreti. Quando battemmo la Germania in semifinale nel 2006 la partita finì con Pirlo, Del Piero, Totti, Iaquinta e Gilardino in campo in contemporanea in un 4-2-3-1 con il solo Gattuso incontrista.

Quest'anno in primo luogo abbiamo avuto paura non dico a giocare con due punte ma con una e mezza. Ed anche ai giocatori maggiormente deputati ad attaccare abbiamo chiesto ruoli defilati (penso a Candreva e Marchisio nel 4-1-4-1) senza avere una prima punta in grado di giocare di sponda permettendo gli inserimenti dalla mediana. La scelta Immobile-Balotelli era giusta, sbagliato era il fatto di averla osteggiata il giorno prima e di averla estemporaneamente presentata nell'ultima partita, salvo poi togliere sia l'uno che l'altro dopo un tempo sbagliando quindi ripetutamente.

In secondo luogo: io credo che le squadre debbano avere una solida impostazione iniziale di base, ma è ovvio che debbano sapere giocare e adattarsi alle situazioni. Nell'arco delle partite di un mondiale ti può capitare di tutto: essere avanti, essere sotto, essere in inferiorità o superiorità numerica. Questa Italia quando ha dovuto cambiare in corsa (Costarica) è addirittura peggiorata, quando ha cambiato dall'inizio (Uruguay) si è inceppata. Un problema anche di interpreti.

Caso Balotelli. Sinceramente da Buffon non mi aspettavo quella autoassoluzione con difesa del clan e colpe scaricate sugli altri, Mario in primis. Usarlo come parafulmine per spostare le attenzioni su di lui è stato scorretto, ai limiti del vile. Anche perché Buffon non ci ha spiegato cosa sia successo veramente tra i vecchi e i giovani. Farlo avrebbe permesso chiarezza, ma forse avrebbe offerto chiavi interpretative che avrebbero esposto anche il suo clan a qualche critica.

Oggi Balotelli è un giocatore incompiuto. Che fa qualche gol, sporadicamente ha giocate di classe. Di lui sappiamo che si è imposto molto giovane ma che negli ultimi 4 anni non è migliorato di una virgola, anzi, probabilmente si è involuto. Il calcio è fatto anche di questo: miglioramento costante e mantenimento di uno standard alto. Tatticamente non si capisce ancora cosa sia, caratterialmente non regge le pressioni, umanamente fa tenerezza (annunciare il matrimonio nel momento della concentrazione massima pre mondiale è, semplicemente, dimostrazione di uno che non ci sta con la testa).

Roberto Mancini non è tra i miei allenatori preferiti, ma probabilmente è lui l'unico che è stato capace fin qui a far rendere Mario al massimo. Gli faceva fare la quarta-quinta punta del Manchester City, con impiego saltuario, raramente superiore ai 70' a partita. Ottenne da lui una media gol rispetto al minutaggio molto alta (nel 2012 il City vinse il titolo con Mario forte di una media da un gol ogni 87' giocati circa). Personalmente pensavo che Balotelli fosse l'uomo da torneo breve, tipo Europeo o Mondiali, invece pare essere un giocatore che ha bisogno di ombra per poter emergere con acuti. In fondo anche agli Europei, senza quel doppio sprazzo contro la Germania, avrebbe concluso un torneo assai anonimo. Questo è Balotelli, piaccia o non piaccia, per lui come per tutti parlano i fatti. Non è un bidone, ma nemmeno un fuoriclasse. Per me nemmeno un incompiuto alla Cassano, perché Cassano - il più grande talento sprecato del nostro calcio - aveva (passato non casuale) altre doti ed eleganza. Balotelli è semplicemente uno destinato, di questo passo, ad essere ininfluente.

I giovani. Non ho mai capito la retorica dei giovani applicata al calcio, tanto più alle nazionali. In campo ci vai se sei più forte degli altri, non se sei più giovane. Sempre. Soprattutto in una nazionale che è una selezione. I mondiali li vinci con l'esperienza: la generazione del 2006 per diventare campione ha dovuto passare dalla Corea del 2002 e da un Europeo perso al Golden goal.

La parola "progetto" legata ad una nazionale è una idiozia. Già la trovo stupida quando riferita ad un club: gratta gratta il progetto è sempre quello di vincere qualcosa, ma il vincitore è uno, che facciamo se il secondo arrivato offre performance altissime vicino al 90-95% ma non sufficienti a primeggiare? Buttiamo tutto? Da noi stupidamente si impone il perfezionismo della vittoria (salvo poi strizzare l'occhio alla fortuna, quando capita) e non si valutano le performance. Si butta anche il buono quando si raggiungono livelli elevati, rischiando di ricadere (ricordate gli europei 2008 e l'epilogo ai mondiali 2010?) si cercano responsabili finendo per svalutare i contributi positivi sull'altare di una totale mancanza di cultura sportiva.

In una nazionale ci devono andare i migliori. Scegliere, soprattutto quando non si hanno giocatori che primeggiano a livello europeo, è assolutamente difficile. Ma serve il coraggio di guardare sempre all'oggi. Perché la nazionale dovrebbe oggi rinunciare a Buffon se non ha un Buffon migliore? Perché rinunciare a Pirlo (dico per dire, io fossi in lui ripenserei al ritiro e fossi il prossimo ct lo chiamerei per primo) se non ha uno meglio e Verratti può coesistere con lui (e ci mancherebbe: coesistono gli scarsi, figuratevi quelli forti).

Le convocazioni. Nei giorni delle grandi scelte avevo questa impressione: ognuno di noi avrebbe chiamato giocatori diversi semplicemente perché non avendo fuoriclasse affermati e indiscutibili dietro a loro una pletora di buoni giocatori poteva avere titolo per giocarsela con gli altri.

Io personalmente non avrei rinunciato a Florenzi e nemmeno a Destro (non avevamo un attaccante che teneva palla in su), ma nemmeno all'ultimo Giaccherini del Sunderland. Ma non ho la supponenza di credere che con loro certamente questa nazionale sarebbe stata diametralmente un'altra cosa. Non avrei rinunciato nemmeno all'esperienza di Toni e Totti, sempre in ossequio al tema della nazionale dei "migliori". Ma anche qui alle certezze si sommano pure gli interrogativi, che ci sono quasi sempre a meno che tu non stia parlando di gente come Messi o Cristiano Ronaldo o uno dei primi 10 giocatori al mondo. E non è il nostro caso.

Il futuro. Ho sentito dare colpe a chiunque oltre ai giocatori ed al tecnico: ai vertici federali, ai settori giovanili, alla programmazione. Spero che il calcio di club, i tornei birra Moretti e il campionato 2014-2015, arrivino alla svelta perché sono un po' stufo di sentire cazzate. Il calcio è il calcio, non è il principio e la fine di tutti i mali. Non è la chiave di lettura di una società, anche se si può offrire a diverse metafore. A calcio vinci e perdi se hai una squadra forte. I nostri settori giovanili sono culturalmente sottosviluppati da sempre, anche quando eravamo quelli che al mondo spendevano di più per portare i campioni in Serie A. I nostri vertici federali erano messi anche peggio quando siamo diventati campioni nel 2006 in piena Calciopoli, anche se poi abbiamo trovato - specialità nostra - il capro espiatorio.

Abete si è dimesso. Il successore? Che sia Albertini o Tavecchio poco conta. Pescheranno comunque dagli entourage, all'interno, sentendo gli amici e gli amici degli amici. Non leggeranno curriculum, non faranno certo recruiting tra gente seria e preparata capace di dare una svolta (organizzativa, culturale, sportiva) al calcio italiano. Questo siamo: auguriamoci solo che gli amici degli amici abbiano amici almeno presentabili. Non sempre ci va bene. E soprattutto che la generazione '90-'95 che nel 2018 sarà protagonista assoluta del mondiale di Russia faccia emergere giocatori in grado di ben figurare.

Più italiani in serie A? Io spero di vedere più calciatori italiani all'estero. Il problema dell'Inghilterra ad esempio è proprio questo. Da quando hanno inventato la Premier League (1992) sono diventati il più grande mercato mondiale di importazione di calciatori di alto livello, ma non sono mai diventati esportatori. Infatti si ritrovano con una Championship di alto profilo, che mescola molti inglesi interessanti e tantissimi ottimi stranieri, ma non sfornano una nazionale decente da Italia '90. In 24 anni hanno fatto due semifinali ed hanno bucato i mondiali '94 e gli europei 2008. Sono sfigati ai rigori, ma anche quando vincevano tutto a livello europeo non hanno saputo far crescere una generazione all'altezza, proprio perché importano talenti ma i loro migliori giocatori rimangono dei buoni comprimari a casa loro, mentre le altre nazionali schierano sempre 3-4 emigranti che diventano fortissimi altrove (vedi la Francia, ad esempio). Sono un po' i mammoni del calcio :)

Brasile 2014 sta confermando la globalizzazione del calcio come un dato di fatto. Sta dimostrando che le europee di seconda fascia valgono meno delle nazionali qualificate da qualsiasi altro continente. Per la prima volta in Sudafrica le europee agli ottavi (6) furono meno del 50%. Quest'anno il dato dovrebbe essere confermato.

Ma di fronte al calcio che cambia il vero cambiamento sta nel non considerarsi più il centro del mondo, nel non pensare di avere l'esclusiva del tatticismo, nel capire che si può andare in giro per il mondo ad imparare. Che si ha molto da imparare, anche dalla Costarica.